Ho atteso qualche giorno prima di scrivere. Di fronte ad eventi che cambiano le vite o le cancellano, il rispettoso silenzio è la regola d’oro. Il tempo del lutto non è ancora passato, ma è subito iniziato quello della riflessione. Sulla caducità delle cose, innanzitutto, dopo lo smarrimento iniziale e il senso di impotenza. Ma anche sul futuro di quest’isola, dei suoi abitanti, verso i quali non ho mai nascosto giudizi severi. E’ forse anche per questa ragione che ho preferito sospendere le parole, scegliendo di non aggiungere la mia (inutile) voce al coro polemico di quanti, in questi tristi giorni, hanno reagito con forza, ma spesso in maniera scomposta, all’altro terremoto, quello mediatico. Lo stesso che assegna patenti e distintivi, alimentandosi di preconcetti.
La tragedia di Casamicciola Terme insegna alcune verità, oltre a quelle più ovvie.
Casamicciola Terme, la storia ignorata.
I luoghi più colpiti da questo evento sono quelli noti, i più esposti e vulnerabili, gli stessi che hanno già consegnato la cittadella termale alla memoria storica con immagini di morte e distruzione. Lo sviluppo incontrollato del territorio della seconda metà del secolo scorso ha riguardato anche questi luoghi. Forse in misura minima, ma lo ha fatto, con la complicità della politica. Ed è inutile negarlo o fingere che non sia questa la prima amara verità: la storia non insegna nulla, è ignorata, dimenticata. E lo sarà ancora.
La mala informazione.
E’ un flagello, in Italia. E non intendo per mala informazione la mera disinformazione in senso tecnico. Mi riferisco piuttosto – e fatta salva qualche rara eccezione – all’insieme delle cattive pratiche del giornalismo nostrano, dalle modalità concrete di ricerca dei fatti alle attività di verifica delle fonti, dal grado di completezza e precisione della narrazione al livello di professionalità dei singoli operatori, fino alla forma stessa di presentazione delle notizie.
Nel caso del terremoto di Ischia, non erano ancora state ultimate le operazioni di estrazione dalle macerie degli ultimi superstiti (e neppure erano iniziati gli esami autoptici sulle due vittime) che sulle reti televisive nazionali e sui quotidiani on line era già partito il martellamento ossessivo sul tema dell’abusivismo edilizio. Fenomeno grave, esecrabile, ma oggettivamente impossibile, in quei drammatici frangenti iniziali, da porre in collegamento certo con le conseguenze dannose del sisma. Salvo volersi limitare ad attingere, per pigrizia professionale o mala fede, al repertorio giornalistico già ampiamente collaudato in occasione delle calamità più recenti. E non importa se la gran parte degli edifici coinvolti nei crolli sia risultata poi risalente ad epoche remote rispetto alle quali la nozione stessa di “abuso” si poneva in conflitto logico.
Serietà e rigore, due dei principi cardine dell’informazione corretta. Ignorati anch’essi.
La reazione dei Sindaci e degli operatori turistici.
E’ stata dettata dalla rabbia e, perciò, è apparsa in alcuni casi improvvisata e scomposta. Forse persino inopportuna e insensibile. Rifiutavano tutti, giustamente, l’etichetta di isola degli abusi, e si affrettavano – mentre ancora si piangevano le perdite – ad indicare chiavi di lettura alternative, operare distinguo, controinformare, nel disperato tentativo di mitigare gli effetti più evidenti della mala informazione. Per giunta, essi si trovavano nel contempo a combattere a mani nude e inesperte un altro messaggio veicolato dai mass media: quello, approssimativo e pericolosamente distorto, di un’intera isola in ginocchio, a dispetto del fatto che il fenomeno fosse circoscritto ad una ben individuata zona, senza conseguenze invece per il resto del territorio isolano. Per una località che vive di turismo, il danno che si stava arrecando e che si sarebbe ulteriormente prodotto era enorme e difficilmente calcolabile in prospettiva.
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