Dai molti commenti ascoltati o letti in questi giorni sulla (confusa) “riforma” della legittima difesa, ho tratto la ennesima assordante conferma della deriva (che con una punta retorica potrei anche definire morale) che sta attraversando questo paese. E non tanto per l’incredibile serie di affermazioni fondata sul nulla o semplicemente attinta dal disarmante (nella sua consueta stupidità di fondo) armamentario social (formidabile strumento in mano ai populisti 3.0), quanto piuttosto per gli ostacoli che nella pratica sempre più si frappongono ad ogni possibile forma di dibattito civile. Si tratti di cambiare la Costituzione o qualche articolo del codice penale. Si tratti di fornire risposte alla generale – legittima – domanda di cambiamento o di assecondare bisogni particolari – ed altrettanto legittimi – di sicurezza.
Ostacoli che, in tutta evidenza, rinvengono la loro matrice comune nella totale assenza di autorevolezza della politica. Incapace per ciò stesso di ricercare con efficacia soluzioni e dettare regole rispettabili e condivise.
E se può suscitare perfino un moto di tenerezza l’ignoranza dei non avvezzi all’uso della congiunzione disgiuntiva in ambito giuridico, foriera di polemiche paradossali, non altrettanta indulgenza può accordarsi a quanti, in mala fede, cavalchino l’onda lunga della paura e del disagio sociale per ergersi a paladini dell’ordine pubblico e dell’indignazione.
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