Che Alejandro Iñárritu sia molto bravo con la macchina da presa credo lo abbiano capito in molti. E non v’è dubbio che il suo Revenant sia celebrazione delle qualità migliori del regista, ancor più a suo agio tra le asprezze di luoghi in cui dominano prepotenti gli elementi di una natura selvaggia e ostile, resa alla meraviglia e con eccezionale realismo, anche grazie ad una fotografia a dir poco spettacolare firmata dal genio di Lubezki. Vero anche che il film deve molto al suo attore protagonista, quel Leonardo Di Caprio alla ricerca dell’Oscar perduto e qui degno di consacrazione definitiva, pur se costretto in una sceneggiatura a tratti forzata, ridondante, inverosimile. Revenant è un film brutale e gelido, luminoso e oscuro, che indugia a lungo e con cura maniacale sugli istinti primordiali, attingendo al repertorio classico della lotta per la sopravvivenza, sia essa individuale o collettiva. Ma ciò che alla fine si percepisce, sotto una fitta coltre di neve, odio e vendetta e dietro la retorica metafisica dei sentimenti, è proprio l’assenza di una solida impalcatura narrativa, di un equilibrio di fondo, come se alla bellezza dei luoghi e alla verità nuda e cruda incarnata dai suoi protagonisti non corrispondesse altro che pura ostentazione.
Lo avrebbe meritato con The Wolf of Wall Street.
Questo lo vedremo.
sembra una minaccia.
Quando andremo a vederlo io porterò con me un plaid.
a stomaco vuoto, mi raccomando…