Non sfuggirà ai più fieri animatori della discussione sul fine vita che a fondamento dei loro giudizi pro life più radicali e tranchant si collochino, per lo più e fondamentalmente, preconcetti di tipo religioso. Questi ultimi condizionano per definizione il dibattito in quanto postulano per vere ed assolute premesse che, invece, costituiscono interpretazioni puramente soggettive o frutto di una morale sedimentata: meri punti di vista, insomma. Come quello sulla trascendenza e sulla nozione stessa di vita, la cui indisponibilità deriva per costoro proprio dal suo essere creazione e compimento sacro della prima. Solo se depurato da tali deleterie incrostazioni il dibattito (quello politico, quello vero, dal quale si attendono risposte in termini di traduzione concreta in norme di diritto positivo) potrà svolgersi nel segno del rispetto per le scelte (pur drammatiche e dolorose) di quanti siano invece individualmente orientati da premesse di tipo diverso, in un ordinamento improntato al principio supremo di laicità dello Stato. Dubito però che i tempi, in Italia, siano maturi.
4 Commenti
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Mi sfugge come possano capire tutto il discorso sulla soggettività delle opinioni individui convinti di fare la volontà di un dio.
ti diranno che sei tu a non capire.
Nel Siracide 30 17 è scritto: Meglio la morte che una vita amara,
il riposo eterno che una malattia cronica.
L’ho trovato in giro per la rete e trovo sia calzante per tutto questo parlare del fine vita.
Mi fa paura l’idea di “vivere” come un vegetale e non poter scegliere su cosa fare della mia “vita”.
Spero i tempi maturino al più presto.
Lo spero davvero anch’io.