Sono lì seduto, in attesa che un numerino lampeggiante corrisponda al mio, stropicciato tra le mani. Un’ora di attesa, forse più, in una sala silenziosa e fintamente ospitale. Osservo l’eterno ripetersi di movimenti inutili, soffermandomi sul volto di ciascuno dei presenti ed immaginandone i pensieri, uguali e contrari. Un’impiegata è addetta alla prima accoglienza, ma la macchina dei numerini le ha tolto il lavoro e la dignità. Un’ora e mezza di attesa. Continuo ad indagare sulle ragioni di una sconfitta, confuso nei gangli mentali di una burocrazia che lascia increduli e stremati al passaggio. Sono lì seduto, ormai parte dell’arredo, in attesa di un numerino lampeggiante che, all’improvviso, si fa parola: vi preghiamo di pensare a bassa voce.

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