Non sono certo tra quelli che si sono scandalizzati alla vista della folla di americani ritrovatasi festante, a Times Square come a Ground Zero o davanti alla Casa Bianca, alla notizia della morte di Osama Bin Laden. Posso comprendere certe reazioni emotive e anche condividerle, idealmente. D’altronde, posso pure capire la posizione del Vaticano, per quanto dettata da impalcature morali dalle quali mi separano distanze siderali. Il mio comandamento morale mi dice che, in determinate gravi circostanze, uccidere può rivelarsi indispensabile e che la stessa guerra è, talvolta, inevitabile: non mi schiero tra i pacifisti a oltranza e neppure tra i falsi apostoli della non violenza. Insomma, nessuno che abbia a cuore la Libertà può davvero rattristarsi al pensiero che un terrorista sanguinario e nemico sia stato per sempre eliminato. Cosa però rende noi, il popolo degli Stati Uniti d’America e quello d’Europa, diversi dai carnefici ideatori dell’attentato alle Torri Gemelle, dai nostri nemici? La consapevolezza di combattere per un ideale di Giustizia che rifiuti l’idea stessa della vendetta come strumento per placare rabbia e dolore, la certezza, insomma, di stare dalla parte della civiltà e del Diritto contro la barbarie, della Libertà contro il terrore. Questa certezza, più di tanti proclami, avrebbe dovuto infine guidare la mano di Obama: un suo semplice graffio avrebbe potuto marcare per sempre la differenza nella storia. Un’occasione mancata. Voglio forse dire con questo che sia un male che il terrorista Bin Laden sia stato messo a tacere per sempre? Certo che no, se la sua morte può dirsi necessaria ed utile alla causa per la quale si sta combattendo da anni. Ma allora, sarebbe bastato poco, un inciso, una chiosa, per rendere quell’uccisione meno figlia della collera o di altri sentimenti. Sarebbe bastato evitare di annunciare la morte come obiettivo, caricarla con orgoglio di significati retorici, di farla così apparire ciò che, in effetti, è apparsa da subito agli occhi di tutti: un’esecuzione sommaria.
8 Commenti
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Io non credo sia stata guidata dalla collera la mano che ha colpito. Né la mente che ha ordinato. In preda alla collera tiri trenta coltellate alla moglie fedifraga e dopo che è morta ancora continui a colpire. Tu pensi davvero che un’operazione come quella possa essere stata pianificata, messa a punto e attuata con la collera?
La mia risposta è sì, se per collera, ovviamente, non intendiamo quella del marito cornuto. Del resto la nozione di collera applicata ad un’intera Nazione, ad un Popolo, assume sempre un significato diverso. Ripeto, sarebbe bastato poco per…
caro ALTER, la prima parte del post ti distingue dalla posizione cretinista. Però ogni ragionamento che continua con un “ma” espone all’errore. La scelta di “terminare” Bin Laden era uno degli obiettivi programmatici di Obama. L’ha detto in campagna elettorale e all’insediamento. Se c’è stato un sentimento (comune al Presidente e alla folla gioiosa) non è la collera è la giustizia.
La giustizia come la intendono i protestanti e che ad un paese cattolico (buonista, perdonista, cazzi suoi) come il nostro non sempre è comprensibile. Negli USA i familiari dell’ucciso hanno diritto ad assistere all’esecuzione dell’assassino. Ma non è vendetta, è resa giustizia. Appartine più all’occhio per occhio che al diritto penale.
Obama non ha caricato il suo discorso di toni trionfalistici ma ha detto chiaramente che gli USA sono loro stessi anche guidati da un democratico. Che chi li attacca, nel Pacifico o a Manattan la pagherà.
La differenza tra il mondo libero e la barbarie consiste in questo: i capi democratici del mondo libero non ordinano stragi di civili innocenti.
la seconda parte del post, se letta senza il pregiudizio anticretinista, non si sofferma tanto e solo sul concetto di Giustizia (che per me come per le democrazie occidentali non è quello dell’occhio per occhio, per capirci) e non contiene alcun “ma” rispetto all’epilogo della vicenda umana Bin Laden. L’errore che mi attribuisci è quello di pretendere un’alternativa razionale all’istinto primordiale di “giustizia” che il popolo americano, attraverso i suoi capi, esprime. Sul piano pratico: assicurare un processo? Sì, ma ovviamente solo se possibile, in uno scenario di guerra. Altrimenti, far passare un messaggio chiaro: la nostra sete di Giustizia non deve confondersi con qualcosa di meno nobile, perché noi non siamo loro. E, vorrei aggiungere, non siamo neppure la Russia. Ma si è scelto, da parte di Obama, toni trionfalistici o no, di assecondare un bisogno di altro tipo della sua gente. Non a caso, sul piano comunicativo, si è fatto in modo che fosse chiaro a tutti il contenuto dell’ordine impartito alle forze speciali.
vedi caro, il problema di comunicare “perché noi non siamo loro” non si pone.
Porselo è come ammettere di avere le idee confuse. Di non avere chiaro il concetto delle scale valoriali, di pensare – come pensano i cretini – che il relativismo si estenda alla parità, all’assenza di differenze.
L’ordine di “terminarlo” non solo asseconda il sentimento di giustizia della gente ma è tra le prerogative del Presidente che lo ha emanato con ponderazione ed equilibrio.
condivido totalmente e capisco perfettamente i dubbi e le incertezze espressi in questo post
“Il mio comandamento morale mi dice che…”: ma poi non segue una definizione, bensì un “determinate grevi circostanze” e un “talvolta”.
Piacerebbe sapere come lo definisci (delimiti) questo tuo “comandamento morale”.
Senza contare poi che, in un’ottica laica, ognuno ha il suo, e dipende dalla valutazione delle circostanze (chi decide se sono gravi o no?) e dai talvolta o talaltra. MI pare poco.
la mia era solo una premessa per dire che, dalla mia prospettiva laica, nessun precetto religioso (o derivante da una morale superiore) mi impedisce in assoluto di considerare come lecito il ricorso alla violenza, anche quella estrema. Ma, effettivamente, il tema è interessante e merita un approfondimento. Grazie per la visita.