Ho sempre parlato alle statue. Un po’ meno agli animali. Quand’ero in gita con la scuola dialogavo con quelle dei musei, immaginando di trovarne una disposta a scendere dal piedistallo e a seguirmi per le vie della città, fino a casa. Tra lo stupore primitivo e rozzo dei compagni di classe, ignari del fatto che una statua, per quanto pesante, potesse scrostarsi dal passato e vivere nel presente. Ingenui.
Dialoghi silenziosi e brevi. Mi rivolgevo allo spirito di ciascuna, ponendo quesiti, ricevendo risposte. Interloquivo con l’artista che le aveva plasmate, rendendole immortali. Non importava che lingua parlassero. Contava la vicinanza di un attimo.
Continuo a parlare alle statue. Pietra o gesso o metallo, talvolta non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
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