Se c’è un vocabolo della lingua italiana che più di ogni altro si addice alla natura di certi personaggi, mediocri e comici al tempo stesso (e a loro stessa insaputa), quel vocabolo è, senza ombra di dubbio, mezzasega. Una mezzasega non è, semplicemente, una persona incapace o incompetente, giacché queste sono “non qualità” che si possono ritrovare in qualunque soggetto e con caratteristiche sempre diverse: una mezzasega è, piuttosto, una personalità inespressa, incompiuta, ed è, innanzitutto, sempre mezza, comunque e dovunque si manifesti. Una insignificante macchietta ridondante, capace però di nuocere agli altri se collocata in posizione di rilievo. La mezzasega, infatti, si nutre del paradosso del potere come luogo di affermazione del proprio Io dimezzato. Ora, c’è un motivo per cui, proprio oggi, il termine mezzasega ha animato i miei pensieri, ed è un motivo legato ad una vicenda di cronaca locale, che definirei spassosa se non fosse per i suoi drammatici risvolti umani. Vicenda che ha ricevuto, come si dice, “ampia eco mediatica”. Ma non importa qui raccontarla. Mi interessava la fenomenologia del mezz’uomo e del suo improvviso apparire tale agli occhi di tutti.

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