Mi sono ritrovato di recente a riflettere sulla morte. Sull’idea dell’improvviso non essere, di questa fine annunciata eppure inconsapevole, della pretesa di immortalità che essa ingenuamente nasconde, o forse, più semplicemente, mortifica. Osservavo il dolore straziante di una madre ottantenne per la perdita del figlio, per sempre bambino ai suoi occhi, le sue carezze premurose, lo sguardo incredulo di chi non può darsi pace. E’ così che ho immaginato la morte: la definitiva perdita di ogni speranza. L’eterno non senso.
11 Commenti
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Sarà pure scontato, ma la morte mi fa paura solo quando minaccia la vita dei miei cari.
E’ comprensibile, più che scontato.
Se la morte è la perdita di ogni speranza, molte persone sono morte pur essendo vive…
dimostri di aver letto il post, è un buon passo… 🙂
L’eterno NON ha senso.
Siamo morti che camminano, ma, perdio, che sia almeno un buon cammino.
morti che camminano è una definizione che non mi piace.
oh, no: l’eterno ha senso, eccome! se non credessi che esista qualcosa dopo la morte, impazzirei!
una prospettiva utilitaristica (credo in funzione di una ricompensa ultraterrena e solo così dò un senso alla mia esistenza) che, ovviamente, non appartiene al laico, il quale, nondimeno, riesce a trovare continue alternative in vita alla pazzia.
Io ecco no cioè voglio dire perché insomma
tu comunque hai capito, vero?
importa piuttosto che tu abbia capito. Che ciascuno capisca.
Ah l’eterna angoscia, il ricorrente pensiero.
Ogni cosa esistente è impermanente.
Quando si comincia a osservare ciò,
con comprensione profonda e diretta esperienza,
allora ci si mantiene distaccati dalla sofferenza:
questo è il cammino della purificazione.
Dhammapada, XX (277)