Il giorno in cui mi autoproclamai Subcomandante del Destino Operoso ebbi come la sensazione di avere precocemente ceduto alle lusinghe del presenzialismo esistenziale. Quel giorno segnò la fine dell’allegra innocenza. Il nuovo grado richiedeva un impegno diuturno al quale la mia mente e il mio fisico non erano preparati, ma dal quale la coscienza si sentiva in qualche modo attratta, come da una sorta di richiamo fatale. Più di ogni altra, avvertivo la fatica dell’essere fabbro.

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