Leggo titoli entusiastici della stampa locale sulla presenza di tale Corona ad Ischia. Annunciano il tutto esaurito per “una notte che sarà destinata a rimanere nell’albo d’oro del by night ischitano“. Pensavo avesse a che vedere con il concetto di isola, con quel suo chiudersi e racchiudersi all’infinito, come in un disegno di Escher, e non importa quanto spazio, essendo questo un’illusione, non importa il tempo per tornare al punto di partenza: una metafora. Ero convinto avesse a che fare con i suoi confini di cielo acqua e sale, con il senso del limite circolare, della barriera che circonda, che impedisce di evadere, costringendo la mente (e spesso anche il corpo) nell’orizzonte definito. Ma all’idea un po’ romantica dell’isola-scoglio, che se apre squarci di malinconia e di rassegnazione regala anche momenti di genuina bellezza, ho sostituito quella della deriva. Non c’è verso di contenerla, giacché essa si esalta nei limiti esclusivi della sua condizione di separatezza ma, al tempo stesso, inesorabilmente ne prescinde. Ed è ciò che ora mi consente di assolvere in parte la mia isola, il pensiero cioè che essa non sia da sola causa della sua ingloriosa fine.

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