Non so quanti, tra i gentili lettori di questo blog, ricorderanno che, per qualche settimana, nell’estate del 1986, Radio Radicale sospese la consueta programmazione e mandò in onda – senza operare alcun filtro preventivo – tutti i messaggi vocali lasciati dai propri ascoltatori nella segreteria telefonica. L’iniziativa sperimentale, che in realtà rispondeva alla necessità pratica di risparmiare sui costi di gestione della radio per scongiurarne l’altrimenti certa chiusura, venne replicata nel 1991 e nel 1993, riscuotendo ogni volta un enorme e inaspettato successo. Agli ascoltatori si richiedeva di esprimere la loro personale opinione sull’emittente, ma sin da subito i messaggi si allontanarono dalla traccia assegnata assumendo i connotati del turpiloquio, della bestemmia, dell’invettiva violenta, dello hate speech, suscitando un mare di polemiche e giudizi contrastanti (e persino l’intervento della magistratura).
In un’intervista a La Stampa, Pannella, che difese a spada tratta la scelta di mandare in onda le telefonate della discordia, dichiarò: «C’è sì il moralista che borbotta, ma non c’è un sociologo che si prenda la briga di studiarle, quelle voci», ponendosi subito dopo egli stesso la domanda fondamentale: «vi si dà la possibilità non solo di parlare ma di presentare per così dire il vostro biglietto da visita e cosa scegliete di lasciare di voi stessi? L’anonimia. Non l’anonimato, che è un’altra cosa, ma la torbida, paurosa anonimia di chi non riesce ad articolare più di quaranta, massimo cinquanta parole. Un numero infinito di fotocopie in cui variano soltanto gli accenti ma come in una parodia terrorizzante di unità nazionale, si adoperano le stesse, consunte parole a Trapani e a Milano».
Ecco, mi sono venute in mente quelle piccole, significative ed allarmanti parentesi di radio verità mentre di recente, navigando le acque sempre più inquinate dei social networks, riflettevo sulla deriva incontrollata e irrazionale che la rete ha preso, fungendo – mutatis mutandis – da valvola di sfogo per una moltitudine eterogenea di repressi e da formidabile grancassa per i seminatori di odio di professione.
In un contesto del genere, indifferente ad ogni richiamo razionale ed anche a quello della Legge, fa persino sorridere il successo che sta riscuotendo Sarahah, l’ultimo sistema di messaggistica, ideato con il proposito dichiarato di assicurare agli utenti l’anonimato. E che finirà solo per arricchire di un ulteriore tassello il già angosciante mosaico della stupidità umana.
Istallare un’app di messaggistica anonima e lamentarsi degli insulti è come lanciarsi dal tetto e protestare per la forza di gravità. Cit
in effetti…
Ho temuto lo avessi scaricato.
Quel titolo fuorviante, degno dei migliori clickbaiters!
Furbacchione, c’ero cascata proprio.