Giunto nel vecchio casolare immerso nel verde, dopo essermi lasciato alle spalle Russillon e le sue distese d’ocra, avere attraversato antichi villaggi color miele con mulini e case di pietra e tetti di tegole, ho avuto anch’io per un attimo la tentazione di chinarmi per raccogliere un po’ di terra, strofinarmela tra le mani ed annusarla, come un Russell Crowe di annata (quella ottima) o un novello gladiatore mistico di Provenza. Ma non sarei stato credibile. Il canuto e un po’ burbero proprietario non conosce una parola di italiano e neppure l’inglese deve suonargli familiare. Nel suo mas domina il silenzio, interrotto qua e là dai rumori della campagna circostante e dal cinguettio degli uccelli. Qui a Gordes il tempo sembra essersi fermato. Le case del borgo antico, arroccate sulla collina di fronte come in un presepe, sembrano di cartapesta. Verso sera si accendono luci come fiammelle tremolanti. Dalla piazza del castello, con la vecchia fontana ora in disuso, mi avvio per le stradine del paese, come in un labirinto delle meraviglie. Ci sono fiori ad ogni porta, finestre con merletti ai vetri e persiane color pastello, botteghe artigiane, variopinte locande e minuscole boulangerie. Suoni dolci e profumi nell’aria. Gordes è un villaggio di gradini di pietra, di sali e scendi e di terrazze panoramiche, dalle quali è possibile di giorno ammirare l’infinito colorato del Luberon.

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