In questi giorni di pressoché totale distacco dai consueti negozi, a parte immergermi nella quieta lettura e nell’ozio  delle passeggiate serali, ho avuto maggiori occasioni di affacciarmi sulla più vasta piazza pubblica, o, se si vuole, nel più grande bar a cielo aperto che sia stato mai concepito e realizzato nella storia dell’umanità. Non mi interessa qui giudicare se l’inciso del noto semiologo risponda al vero o sia frutto di una opinabile rappresentazione del villaggio globale e dei suoi pretesi portatori di verità, né possiedo gli strumenti per disegnare le geometrie delle potenzialità attuali e future della rete social e del suo principale luogo di espressione. Vorrei solo dire che è stato interessante constatare che sono sempre meno numerosi quelli che si sforzano di nascondere in piazza la parte peggiore di sé, sempre meno quelli che decidono prudentemente di affidare ad una maschera almeno la copertura dei difetti più evidenti. Anzi, a differenza dei luoghi fisici della quotidianità, nei quali una sorta di pudore quasi istintivo sembra inibire o almeno attenuare le manifestazioni di imbecillità più estreme, nella piazza virtuale ogni freno viene meno, anche nei solitamente sobri e moderati, quasi che questa elargisca a chiunque salvacondotti e conferisca impunità. Per giunta, le legioni di imbecilli si nutrono più o meno ingenuamente di approssimazione e menzogna ricevendo (spesso a loro insaputa) supporto vitale da centri di potere che le loro esternazioni utilizzano strumentalmente per i propri fini politici. E così il circolo vizioso della comunicazione si autoalimenta all’infinito. Ecco, un uso consapevole della rete importa necessariamente che si riconoscano i nuovi scemi del villaggio (virtuale).

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