Vi ho mai raccontato di quella volta in cui, reduce da una esperienza pantagruelica a base di gulasch ed altre temibili pietanze da mandriano itinerante, mi misi a passeggiare sul lago Balaton (ghiacciato, è ovvio) sfidando bellamente il freddo e il gelo con il mio elegante cappottino di lana e, a dispetto della presunta invincibilità fisica (tipica, del resto, degli infraquarantenni), neanche il tempo di rimettere piede a Roma sulla via del ritorno, finii ricoverato in ospedale con una febbre da cavallo e il sospetto di non so quale malattia infettiva? Non credo di averlo fatto, per una sorta di pudore nel rivelare il dettaglio del cappottino, immagino.
Mi è ritornata in mente quella volta, potendo sorridere alla disavventura 15 anni dopo, mentre attendevo il volo della Wizzair diretto a Budapest. La più bella città sul Danubio, secondo il giudizio di molti.
Di questa vi vorrei parlare ora, della mia fuga di due giorni e mezzo nella capitale ungherese. Di Buda, la piccola dimora, con il suo castello, che domina dall’alto della collina il fiume, i ponti e, dall’altra parte, Pest. Dell’alba silenziosa che si respira tra le stradine e le piazze della città vecchia, insieme ai pochi turisti a quell’ora in giro alla ricerca dell’angolo giusto per uno scatto, fino al bastione dei pescatori con le sette torri, un tempo mercato del pesce, che si popola lentamente la domenica mattina. Del concerto serale al Mátyás-templom, la chiesa di Mattia, un tempo moschea.

Budapest, il ponte delle catene

Della passeggiata sul ponte delle catene, in pietra e ferro battuto, sferzato dal vento dell’est. Della riscoperta del Tokaji, il vino dei re, amabile traditore, degustato in molteplici varianti ed anche in luoghi labirintici sotterranei di medievale atmosfera.
E vorrei parlarvi del vivace quartiere ebraico, con le sue botteghe artigiane, gli edifici in rovina, i ristoranti e i caffè, e della breve ma intensa visita alla maestosa Nagy Zsinagóga di Via Dohany, luogo di culto e di incontro della comunità neologa, la Sinagoga grande di Budapest, la più grande d’Europa, con le sue tre ampie navate, l’organo a canne alle spalle dell’Aron Ha Kodesh, l’adiacente cimitero del ghetto, il parco delle rimembranze con il suo albero della vita.
E della mia esperienza con la kippah.
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