Abitavo nel vicolo della spiaggia, in un appartamento al piano rialzato dal soffitto alto e le finestre enormi, dalle quali potevo osservare il vicino che raccoglieva arance. Da bambino le case, i viali, i palazzi, il mare, ogni cosa mi appariva enorme e distante, tanto che il mio sguardo non era in grado di coglierne i dettagli. Tranne il giardino del vicino, con i suoi alberi di arance che proiettavano ombre sul muro della mia stanza ed erano per questo parte del mio mondo. Per anni sono rimasto lontano da quei luoghi, dalla casa nel vicolo della spiaggia, dal giardino degli aranci. Poi, una sera, deviando dal percorso consueto, nel punto della strada dove è possibile scorgere le barche dei pescatori tirate a secco, le increspature del mare e, sullo sfondo, nitide immagini della terraferma, il mio sguardo si è soffermato sulla facciata bianca di quell’edificio rimesso a nuovo e, di fianco, su quella lingua di terra dove ancora crescono frutti. E vi ho immaginato i nuovi abitanti, il nuovo vicino, un cane a far da guardia, gli stessi rami a fare ombre, così distanti dal mio mondo.

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