Ed eccomi qui, di nuovo a pormi domande retoriche, come ad ogni rientro, sul perché di una deriva senza fine, mentre osservo e confronto, lungo il percorso che dall’aeroporto conduce al molo, gli squarci perpetui di squallore cittadino, di incuria, di abbandono. le sacche di miseria umana, la fuliggine che oscura l’antico splendore, la storia tradita, le regole inosservate, l’indolenza. Domande che ingombrano e indignano, indotte come sono da termini impietosi di paragone, tali ed incolmabili essendo le distanze, i ritardi, il vuoto. Ed eccomi qui, insofferente al rientro, inutilmente prolisso, ad interrogarmi sul senso di una disfatta, di una scommessa persa in partenza, mentre mi lascio alle spalle l’ingannevole profilo da cartolina della città dolente e con esso il rumore stridulo della sua quotidiana insolenza.
Rientro a casa, se il mare di mezzo lo consente.
L’insofferenza al rientro è un male di cui sono molti ad essere affetti. E con essa spesso si accompagnano domande e risposte di grande portata. Poi forse tutto riprende senso, in un contesto che si fatica a tornare a piacere.
Un saluto!
E’ una sindrome ben nota ai viaggiatori, frequenti od occasionali. Ad essa però si accompagna ogni volta una sempre maggiore (almeno per me) consapevolezza: che, per quanti sforzi si possano fare per correggerli (ad ogni livello, da quello individuale al collettivo), i mali che affliggono i propri luoghi non smetteranno mai di alimentare la insofferenza.