Come un freddo chirurgo, le cui mani si muovono a memoria, insinuandosi con distacco nella carne nuda e debole. Così mi immaginavo, mentre un anodino cameriere portava in tavola straccetti di chianina e, un brindisi dopo l’altro, nel giorno di festa, la mia mente passava in rassegna le possibili implicazioni di una meta che era, insieme, punto di partenza. Nella stagione della autodeterminazione, iniziai presto ad adoperare i ferri del mestiere con la condotta un po’ spavalda di chi si crede un invincibile guaritore. Era la stagione dei fuochi in aria, delle presunzioni. Mi sono ritrovato di recente a pensare a quei momenti, mentre osservavo i volti scuri e tristi dei miei pazienti, immolati sull’altare spoglio della giustizia, la loro carne debole, i tormenti visibili a occhio nudo. Che nessuna mano saprà mai guarire.

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