Belgrado la antica, crocevia di culture, città di confine, porta dei Balcani.
Belgrado, la città tra i due fiumi, la Sava e il Danubio.
Inquieta, ribelle, ferita ma indomita: ritmi tzigani nel sangue e anima rock.
Alla città bianca avevo riservato in agenda un tempo che reputavo eccessivo, prima della partenza, lo stesso che avevo trascorso la prima volta nella Grande Mela, metropoli immensa da riscoprire ogni volta. Tempo che si è rivelato alla fine beffardo, inadeguato alle molteplici sfumature del luogo, da vivere con lentezza, da centellinare, a partire dall’atmosfera un po’ bohémien del quartiere di Skadarlija, la piccola Montmartre, con la sua strada di ciottoli, la Skadarska ulica, e i suoi folkloristici ristoranti. Un tripudio di suoni e colori. Ho pernottato qui, a buon prezzo, nel cuore della stari grad e a un passo dal vecchio mercato all’aperto.
Belgrado la classica, quella austera della memoria storica, dei monumenti al passato, delle mura possenti della sua gloriosa fortezza, delle chiese ortodosse. Ma anche la sorprendente, quella vivace e aperta del lungofiume, dei docks di Beton Hala, ora ristoranti e caffè di tendenza; e quella creativa delle piccole botteghe, dei giovani creatori di moda, degli artisti di strada.
Belgrado la città delle lunghe passeggiate nel verde che la avvolge.
Città autentica, contrastata, segnata nel profondo, ma anche capace di ricucire strappi e di guardare al futuro.
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