Definirsi ateo è questione di fede ma anche di parola. E’ affermazione necessaria a segnare il distacco, scelta di campo che però si annuncia e risolve in un vuoto prefisso privativo, se non se ne chiarisce né spiega il senso. In principio era il Verbo, ma quale significato attribuirgli? Porsi questa, di domanda, è essenziale a sgombrare il campo dall’equivoco di una negazione che si riduce a icona della miscredenza e così conforma e deforma il concetto stesso di Dio, facendone prerogativa del credente. Esiste invece una religiosità laica, che si nutre dell’autonomia della coscienza e della indipendenza della ragione, smarcandosi dal trascendente e dall’idea di un Dio antropomorfo creatore del cielo e della terra (e di tutte le cose visibili ed invisibili), che rivendica a buon diritto la parola, rendendo liberi. Vogliamo definire atea questa spiritualità della ragione? Forse, sarebbe il caso di chiamarla con il suo vero nome: amor proprio.
6 Commenti
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negare Dio con assoluta certezza è un atto di fede
Parti bene, ma poi non ti capisco più. Dove è scritto che un ateo debba essere privo di spiritualità? E perché chiami religiosità laica quella che potresti definire, semplicemente, etica laica? Posto così il tutto, sembra che anche per essere atei (o semplicemente laici), ci sia bisogno di un dio. E poi, non vedo cosa c’entri, in tutto il discorso, quell’amor proprio della chiusa. Forse non colgo qualcosa o, forse, hai bisogno di Dio più di quanto credi. Spero apprezzi gli interventi critici.
e se in principio era l’avverbio..?
Comincio dalla fine, gentile Teddy: il tuo intervento su questo blog è gradito e benvenuto (anche se ha seriamente rischiato di non essere pubblicato perché, curiosamente, intercettato come spam dal sistema di gestione dei commenti…!). Aggiungo che spesso dall’amico Arci ho avuto modo, su altri temi, di apprezzare e condividere i tuoi punti di vista.
Detto questo, qui mi pare di cogliere nel tuo inciso forse non colgo qualcosa un’apertura solo formale (o, di stile) al beneficio del dubbio (interpretativo). Da nessuna parte è scritto che un ateo debba essere privo di spiritualità, neppure nel mio post, dove, anzi, mi sforzavo di respingere quel luogo comune, immodestamente facendo mia una definizione, quella di religiosità laica che, in passato, è stata da altri e ben più efficacemente utilizzata per affermare una possibile alternativa laica alla spiritualità del credente. Ma il punto è questo: cosa intendiamo noi per Dio? Cosa distingue il credente dal non credente? Cosa definisce un ateo? Questo io chiedevo, di interrogarci sul significato delle parole. E la mia conclusione, sono d’accordo, non può pretendere di racchiudersi in una semplice chiosa.
Grazie Alter. ero passato ma non c’era ancora né il commento né la risposta. Confermo che mi era sfuggito quel qualcosa che specifichi nella chiusa della tua risposta. E’ che io sono un orgoglioso umanista e sono allergico a qualunque riferimento religioso. Mi piace di più pensare in termini di etica, un concetto altrettanto metafisico ma molto più umano. E’ un mio grande limite: credere che, alla fine, l’uomo ce la possa fare da solo. Tanto, comunque solo è.
condividiamo le stesse allergie ed abbiamo in comune lo stesso limite…